TAVERNOLA: L’ONDA ANOMALA DELLA SPECULAZIONE DEL CEMENTO

di Paolo d’Amico (La Sinistra, Rifondazione Comunista – Alto Sebino)

C’è sul sito del Comune di Tavernola un “Aggiornamento studio geologico a supporto pgt” del 2010 sulla “principale frana attiva sul territorio comunale che interessa una parte della miniera di marna da cemento Ognoli”. Fenomeno franoso, continua, studiato dagli specialisti “dagli anni ’70 del secolo scorso (…) ed è stato proprio il monitoraggio a rendere possibile l’allertamento prima dell’ultimo distacco corticale sul corpo di frana del novembre 2010.”

Dunque, storia vecchia. Vecchia di cinquanta anni. Ma che, di fronte all’allarme tsumani di questi giorni, torna di grande attualità. Storia vecchia come anche il modo di affrontare l’emergenza frana in corso: minimizzare. Al di là di qualche richiamo in prima pagina sui quotidiani locali, poco o nulla si è sentito dalle istituzioni preposte, la Regione Lombardia e la Provincia di Bergamo.

Peccato, perchè il fenomeno franoso di Tavernola è emblematico rispetto all’uso del territorio esercitato nell’ultimo mezzo secolo: sfruttamento e saccheggio delle risorse ambientali al fine esclusivo dell’interesse privato a discapito del bene comune. Perchè è evidente che l’attività estrattiva di marna da cemento ha sconvolto le dinamiche geologiche di un luogo già fragile di suo. Per anni, invece di intensificare i controlli e di limitare i danni di uno smottamento conosciuto, si è preferito assecondare lo sviluppo dell’attività estrattiva estendendola anche in zone sottoposte a vincoli idrogeologici ed ambientali. Si è costruita una strada di collegamento da Tavernola a Parzanica su terreni instabili anche per facilitare l’ampliamento dell’area di escavazione.

Tutto ciò nonostante la mobilitazione e le frequenti proteste della popolazione del territorio e di componenti politiche del Comune di Tavernola. Nonostante referendum e proposte di urgenti piani di recupero, finalizzati a contenere l’attività estrattiva e quindi prevenire un possibile disastro futuro. Esattamente ciò che abbiamo sotto gli occhi oggi: una massa imponente di montagna che incombe pericolosamente, pronta in ogni momento a scaricarsi verso il lago. Un disastro che provocherebbe conseguenze incalcolabili sull’economia turistica e sulla qualità ambientale, già in buona parte compromessa, del lago d’Iseo tutto.

Ma oggi, meno se ne parla meglio è. O meglio, se ne può anche parlare, perchè evidentemente il fattore di rischio è clamoroso. Basta però presentare lo smottamento come un fatto fisiologico in cui le responsabilità umane sono assenti. Insomma, non si deve invece capire che la causa è umanissima: mezzo secolo di attività estrattiva e di speculazione sul cemento.
Il rischio vero per le istituzioni governative non è la rovina del territorio, ma disconoscere un modello di sviluppo e di sfruttamento che si risolve finalmente nella devastazione della natura e nello sfascio ambientale. Nel nome del profitto di pochi. (Lovere, 28.02.2021 – Paolo d’Amico)