Dissenso-repressione-democrazia. DOVE STIAMO ANDANDO?

BOLOGNA. Divieto di dimora nella Città metropolitana di Bologna per sei attivisti – tra cui il nostro compagno Tiziano di Luzzana (bg9 che vive e lavora a Bologna – a ottobre scorso insieme ad altri furono sgomberati perché occuparono illecitamente uno stabile, per dare alloggio a persone e famiglie sfrattate.

Il documento dei 6 attivisti

Proprio perché abbiamo viaggiato più volte in Ucraina per vedere con i nostri occhi la guerra e la resistenza. Proprio perché viviamo nella regione con l’aria più inquinata d’Europa. Proprio perché stiamo vivendo sulla nostra pelle l’allontanamento dalla nostra città per motivi politici. Non diremo cose come: in Italia non si può più manifestare liberamente; non c’è alternativa alla crisi climatica; la guerra nucleare ci distruggerà tutt*. Non diremo che abbiamo raggiunto il punto di non ritorno. Il catastrofismo e il vittimismo sono privilegi che non ci appartengono.

Vogliamo raccontare la repressione che stiamo subendo per farci nuove domande insieme su come si cambia questa società, democratici e ribelli. La punizione che ci hanno inferto è l’attacco ad un progetto politico.

Siamo 6 attivisti, cittadini bolognesi. Martedì 27 febbraio 2024 siamo stati allontanati dalla città metropolitana di Bologna con un divieto di dimora – di fatto un confino politico fascista – perché considerati socialmente pericolosi per esserci schierati e aver difeso un’occupazione a scopo abitativo, dove viveva chi una casa non l’aveva. Nello specifico, parliamo dell’occupazione dell’Istituto Santa Giuliana, in via Mazzini 90, in pieno centro città, di proprietà della Chiesa e illo tempore in vendita. Occupata il 6 ottobre e sgomberata con grande violenza della polizia il 17 ottobre 2023.

Durante l’occupazione abbiamo scoperto che l’acquirente dell’Istituto era Aedes s.r.l., una holding immobiliare legata a Comunione e Liberazione. Presumibilmente, lo stabile in questione andrà in gestione a Camplus, la più grande rete di student housing in Europa, e diverrà l’ennesimo studentato privato della città di Bologna. Nel frattempo, più di 40 persone avevano trovato casa in via Mazzini e la lista di persone che avevano espresso necessità allo sportello organizzato per raccogliere le esigenze, contava più di 100 persone: studentesse e studenti fuorisede e internazionali, lavoratori della logistica, drivers, riders, lavoratrici della ristorazione e del sociale, precari/e sociali della città della conoscenza e nell’indotto del Tecnopolo. Questo mosaico di vite differenti è il sintomo di un evidente problema sociale. Punto e a capo.

Siamo accusati di essere i capi dell’occupazione. Lo siamo? Certo che no.
Il mosaico si tiene insieme grazie ai Municipi Sociali. Non 6 capi ma centinaia di persone schierate politicamente che ogni giorno fanno attività sociale radicata nel territorio. Il segreto di Pulcinella è che noi siamo sei attivisti riconosciuti dei Municipi Sociali, ma questo è solo un motivo in più per indignarsi, nulla cambia al progetto politico. Altr* attivist* stanno già nascendo.

Ma veniamo al sodo. Nei Municipi Sociali ci si incontra non solo per risolvere i propri problemi ma per condividere le ambizioni e i desideri su come vorremmo la città: una città più giusta, più verde, più accogliente, più tech, più lenta e accessibile, più resistente ai venti di guerra, più confederata con altre città europee e meno razzista. Il progetto è chiaro.

Ribelli e democratici insieme cospirano per un futuro diverso. Siamo stati allontanati da Bologna, con il pretesto dello sgombero del Santa Giuliana, per indebolire e dare un segnale a questo programma di trasformazione della società.

Il nostro confino fascista sarebbe passato inosservato, come spesso è accaduto negli anni in cui è stata applicata questa misura. Ma la storia si è rimessa in cammino e infatti succedono cose impreviste.

Proprio mentre la DIGOS ci svegliava nelle nostre case il paese iniziava a parlare di Polizia, conflitto, ribellione e dissenso. Sottotraccia nello scontro istituzionale in atto c’è il problema della democrazia. La democrazia si fa con il conflitto o senza? E poi, quale conflitto è accettabile e quale no? Quello contrario al green deal può passare.
Invece quello delle libertà sessuali, riproduttive, e contro la violenza di genere? Quello per il diritto di circolazione e di soggiorno? Quello per meno concentrazione di capitale tecnologico e per una maggiore distribuzione delle risorse a persone e comunità? Il conflitto sindacale? Quello per il reddito e per la casa? Quello contro la guerra e per il cessate il fuoco a Gaza? L’Europa si sta interrogando su questi temi cambiando la sua costituzione materiale.

Allora, sulla soglia dell’ottantesimo anno dalla Liberazione dal nazifascismo, nel paese dei manganelli, nella parte di Europa senza guerra ma per il diritto alla resistenza, dall’esilio di Reggio Emilia, ci piacerebbe rivolgere queste domande a tutte le persone e le realtà con cui stiamo costruendo territori di cambiamento. A chi si occupa di casa e a chi di tecnologie, guardando all’incontro nazionale del Social Forum per l’Abitare e al festival di Reclaim The Tech che si terrà a Bologna dal 17 al 19 maggio, da chi fa conflitto sindacale a chi opera nel sociale a chi progetta città diverse, da amministratori ad attivisti, da chi lavora nelle associazioni a chi fa ricerca sociale, da chi agisce nella cultura e fa arte a chi costruisce città accoglienti, a chi continua ad indignarsi, ai ribelli e ai democratici chiediamo:
Dove stiamo andando? Come si afferma un progetto di cambiamento nel conflitto intorno a noi? Come usciamo dall’illusione che tutto andrà bene o, viceversa, che tutto sarà una catastrofe, inventando pratiche ibride dove il conflitto è tra gli elementi che servono al progetto? Come ci riconosciamo in un progetto di democrazia radicale per cui combattere insieme?

Domande molto aperte. É tempo di trovare le risposte o almeno il processo per praticarle unendo oltre Bologna
saperi e approcci diversi. Troviamo il modo di parlarci, anche a distanza, anche se, torniAMO presto.

I 6 di Reggio Emilia

P.S.
Mentre torna Chico Forti ma Ilaria Salis rimane nel carcere di massima sicurezza a Budapest, mentre emerge dalle cronache quanto lo Stato sia sempre un apparato buio di gestione del potere, sorge un’ultima domanda: chi pagherà poi il costo di procedimenti penali farlocchi come il nostro o come quello contro la ONG Juventa, del quale celebriamo il non luogo a procedere?

(26.02) BERGAMO: la scomparsa dell’anniversario della pandemia e le responsabilità rimosse

di Ezio Locatelli* e Francesco Macario** –

Ricorre in questi giorni l’anniversario della tragedia del Covid scoppiata in bergamasca. Una tragedia tramutatasi in una vera e propria strage che a partire dalla fine del febbraio 2020 ha mietuto migliaia e migliaia di morti. Non sapremo mai realmente quante morti ma certamente molte di più di quelle che sono state riconosciute ufficialmente.

Questo è il periodo in cui nei due anni precedenti si sono istituiti i giardini della memoria ai “caduti”. In cui le autorità cittadine, regionali, nazionali hanno promosso cerimonie paludate in memoria dei defunti il cui accesso veniva impedito con l’uso della forza pubblica ai familiari delle vittime. Cerimonie che hanno consentito di lucrare il riconoscimento a Bergamo e Brescia di “città della cultura 2023”, con iniziative cosiddette culturali che hanno consentito solo di accelerare i fenomeni di gentrificazione delle due città.

Quest’anno nulla, niente cerimonie, niente lacrime di circostanza. Forse perché lentamente, troppo lentamente, stanno emergendo gravi responsabilità e cointeressenze che in quel periodo, in avvio di pandemia, sono intercorse tra amministratori locali e regionali e l’imprenditoria orobica confindustriale. Quella imprenditoria che con tutta probabilità il Covid lo ha propagato in Val Seriana non interrompendo gli stretti rapporti con la Cina in piena emergenza sanitaria quando questi rapporti erano tassativamente vietati. Si è ricorsi a ogni sotterfugio possibile pur di non rinunciare ai propri profitti privati. Siamo gli unici che fin dall’inizio hanno denunciato questo quadro di rischio estremo, di insipienza e di malafede.

Grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali operate dalla magistratura, che indagava per un’altra vicenda, si può ora fare la ricostruzione (forse parziale ma comunque indicativa) di quei primi spaventosi giorni nella bergamasca, all’insegna del caos totale. La classe politica di governo locale e nazionale si è mossa senza sapere dove dirigersi e come comportarsi, le comunicazioni erano difficili e confuse. Di utilizzare gli strumenti adeguati – ovvero i piani pandemici – nemmeno a parlarne. Si è andati avanti improvvisando, basandosi sull’emotività più che sulla ragione, sotto la pressione degli interessi economici degli industriali. Ne esce un quadro di una classe dirigente complessivamente incapace, meschina, supina agli interessi imprenditoriali, poco sensibile alle conseguenze sui ceti popolari.

Attorno al 24 febbraio, il Sindaco di Bergamo Giorgio Gori (Pd) che evidentemente era già cosciente della situazione di rischio, parlando con il direttore dell’Eco di Bergamo, auspicava: «che Bergamo non venga inquadrata in zona rossa, ma solamente gialla». Ciò nonostante il Sindaco pochi giorni dopo dichiarava ai giornali che non vi erano pericoli e per dimostrarlo cena, assieme all’intera giunta, in una nota pizzeria di Città Alta. Invita altresì nel fine settimana (sabato 28 febbraio e domenica 1 marzo) a recarsi in centro a fare compere, mettendo a disposizione viaggi gratuiti sui mezzi pubblici. Da parte sua Confindustria orobica produceva filmati per garantire che a Bergamo non c’erano problemi che l’economia correva come sempre.

Il 25 febbraio, il primo cittadino di Nembro, Claudio Cancelli (Pd), riferisce al sindaco Gori di essere stato contattato da Pierino Persico (grande sostenitore di Renzi), presidente dell’omonimo gruppo industriale di Nembro, famoso per aver realizzato lo scafo di Luna Rossa, «in quanto preoccupato per la chiusura dell’attività produttiva».

A questo punto entra in gioco Elena Carnevali, già deputata Pd (ora candidata a sindaco di Bergamo) che il 4 marzo del 2020, a pandemia esplosa e con decine di morti al giorno, telefona al sindaco Gori e lo informa di essere stata raggiunta sempre da Persico, «il quale la esortava di far sì che le zone industriali venissero escluse dal provvedimento di chiusura». E’ la stessa Carnevali che assieme al leghista bergamasco Alberto Ribolla e l’onorevole bresciano Paolo Formentini si fa promotrice nel giugno 2021 di emendamenti al provvedimento di istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sul Covid 19 che ne limita non casualmente i compiti «con riferimento al periodo antecedente alla dichiarazione dell’emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale da parte dell’Oms, risalente al 30 gennaio».

L’11 marzo Gori rassicura il patron della Brembo Bombassei (suo grande sponsor elettorale con 50 mila euro versati tramite la moglie a sostegno della campagna per le comunali di Bergamo) che ci “sarebbe un accordo tra Fontana e Bonometti” – il primo presidente della Giunta lombarda, il secondo presidente della Confindustria lombarda – “in cui veniva definito quali aziende chiudere e quali no”, accordo che salvaguardia alcune grandi imprese come la sua Brembo e la Tenaris dei Rocca, chiudendo solo le medie e piccole imprese. Svelando che anche il centrodestra lombardo subiva e accettava pressioni politiche dal padronato.

Il 21 marzo Gori in una telefonata sintetizza “le difficoltà nel dichiarare la Val Seriana zona rossa” sono dipese “dalle pressioni ricevuta da Confindustria” e che la volontà di non chiudere partiva anche dal sindaco leghista di Alzano Lombardo unitamente ad alcuni industriali della zona tra cui la ditta Persico.

Un vero e proprio ricatto da parte del grande padronato che ha ritardato colpevolmente l’istituzione della zona rossa in Val Seriana decretando invece la zona arancione in tutta Italia che a differenza della zona rossa non chiudeva tutte le attività produttive, col risultato di una repentina e incontrollata diffusione della pandemia e migliaia e migliaia di bergamaschi che hanno perso irrimediabilmente la vita. Una strage che si poteva e doveva evitare. Se migliaia di persone, di lavoratrici e lavoratori si sono potuti salvare è perché di propria iniziativa si sono rifiutati di recarsi e immolarsi sui posti di lavoro.

Ecco perché i familiari delle vittime e le cittadine e i cittadini non hanno mai potuto accedere alle cerimonie di commemorazione dei loro morti. Ecco perché in questo anno elettorale a Bergamo non ci saranno cerimonie ufficiali a ricordo delle vittime di una strage. Tantissime morti e sofferenze che di colpo sono diventate scomode, da rimuovere insieme alla montagna delle responsabilità politiche ed economiche. Per lorsignori di deve andare avanti come prima, peggio di prima privatizzando la sanità, riducendo la prevenzione, mercificando la vita umana.

Ma il re è nudo, e noi non intendiamo né tacere né dimenticare. Più che mai vi è la necessità di costruire l’opposizione a un sistema liberista che disprezza la vita umana, che considera l’esistenza fisica una variabile dipendente dagli interessi del capitale.

*segreteria nazionale Prc-Se
**segretario provinciale Prc-Se Bergamo

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(26.02) BERGAMO: la scomprasa dell’anniversario della pandemia e le responsabilità rimosse

di Ezio Locatelli* e Francesco Macario** –

Ricorre in questi giorni l’anniversario della tragedia del Covid scoppiata in bergamasca. Una tragedia tramutatasi in una vera e propria strage che a partire dalla fine del febbraio 2020 ha mietuto migliaia e migliaia di morti. Non sapremo mai realmente quante morti ma certamente molte di più di quelle che sono state riconosciute ufficialmente.

Questo è il periodo in cui nei due anni precedenti si sono istituiti i giardini della memoria ai “caduti”. In cui le autorità cittadine, regionali, nazionali hanno promosso cerimonie paludate in memoria dei defunti il cui accesso veniva impedito con l’uso della forza pubblica ai familiari delle vittime. Cerimonie che hanno consentito di lucrare il riconoscimento a Bergamo e Brescia di “città della cultura 2023”, con iniziative cosiddette culturali che hanno consentito solo di accelerare i fenomeni di gentrificazione delle due città.

Quest’anno nulla, niente cerimonie, niente lacrime di circostanza. Forse perché lentamente, troppo lentamente, stanno emergendo gravi responsabilità e cointeressenze che in quel periodo, in avvio di pandemia, sono intercorse tra amministratori locali e regionali e l’imprenditoria orobica confindustriale. Quella imprenditoria che con tutta probabilità il Covid lo ha propagato in Val Seriana non interrompendo gli stretti rapporti con la Cina in piena emergenza sanitaria quando questi rapporti erano tassativamente vietati. Si è ricorsi a ogni sotterfugio possibile pur di non rinunciare ai propri profitti privati. Siamo gli unici che fin dall’inizio hanno denunciato questo quadro di rischio estremo, di insipienza e di malafede.

Grazie alle intercettazioni telefoniche e ambientali operate dalla magistratura, che indagava per un’altra vicenda, si può ora fare la ricostruzione (forse parziale ma comunque indicativa) di quei primi spaventosi giorni nella bergamasca, all’insegna del caos totale. La classe politica di governo locale e nazionale si è mossa senza sapere dove dirigersi e come comportarsi, le comunicazioni erano difficili e confuse. Di utilizzare gli strumenti adeguati – ovvero i piani pandemici – nemmeno a parlarne. Si è andati avanti improvvisando, basandosi sull’emotività più che sulla ragione, sotto la pressione degli interessi economici degli industriali. Ne esce un quadro di una classe dirigente complessivamente incapace, meschina, supina agli interessi imprenditoriali, poco sensibile alle conseguenze sui ceti popolari.

Attorno al 24 febbraio, il Sindaco di Bergamo Giorgio Gori (Pd) che evidentemente era già cosciente della situazione di rischio, parlando con il direttore dell’Eco di Bergamo, auspicava: «che Bergamo non venga inquadrata in zona rossa, ma solamente gialla». Ciò nonostante il Sindaco pochi giorni dopo dichiarava ai giornali che non vi erano pericoli e per dimostrarlo cena, assieme all’intera giunta, in una nota pizzeria di Città Alta. Invita altresì nel fine settimana (sabato 28 febbraio e domenica 1 marzo) a recarsi in centro a fare compere, mettendo a disposizione viaggi gratuiti sui mezzi pubblici. Da parte sua Confindustria orobica produceva filmati per garantire che a Bergamo non c’erano problemi che l’economia correva come sempre.

Il 25 febbraio, il primo cittadino di Nembro, Claudio Cancelli (Pd), riferisce al sindaco Gori di essere stato contattato da Pierino Persico (grande sostenitore di Renzi), presidente dell’omonimo gruppo industriale di Nembro, famoso per aver realizzato lo scafo di Luna Rossa, «in quanto preoccupato per la chiusura dell’attività produttiva».

A questo punto entra in gioco Elena Carnevali, già deputata Pd (ora candidata a sindaco di Bergamo) che il 4 marzo del 2020, a pandemia esplosa e con decine di morti al giorno, telefona al sindaco Gori e lo informa di essere stata raggiunta sempre da Persico, «il quale la esortava di far sì che le zone industriali venissero escluse dal provvedimento di chiusura». E’ la stessa Carnevali che assieme al leghista bergamasco Alberto Ribolla e l’onorevole bresciano Paolo Formentini si fa promotrice nel giugno 2021 di emendamenti al provvedimento di istituzione di una commissione parlamentare di inchiesta sul Covid 19 che ne limita non casualmente i compiti «con riferimento al periodo antecedente alla dichiarazione dell’emergenza sanitaria pubblica di interesse internazionale da parte dell’Oms, risalente al 30 gennaio».

L’11 marzo Gori rassicura il patron della Brembo Bombassei (suo grande sponsor elettorale con 50 mila euro versati tramite la moglie a sostegno della campagna per le comunali di Bergamo) che ci “sarebbe un accordo tra Fontana e Bonometti” – il primo presidente della Giunta lombarda, il secondo presidente della Confindustria lombarda – “in cui veniva definito quali aziende chiudere e quali no”, accordo che salvaguardia alcune grandi imprese come la sua Brembo e la Tenaris dei Rocca, chiudendo solo le medie e piccole imprese. Svelando che anche il centrodestra lombardo subiva e accettava pressioni politiche dal padronato.

Il 21 marzo Gori in una telefonata sintetizza “le difficoltà nel dichiarare la Val Seriana zona rossa” sono dipese “dalle pressioni ricevuta da Confindustria” e che la volontà di non chiudere partiva anche dal sindaco leghista di Alzano Lombardo unitamente ad alcuni industriali della zona tra cui la ditta Persico.

Un vero e proprio ricatto da parte del grande padronato che ha ritardato colpevolmente l’istituzione della zona rossa in Val Seriana decretando invece la zona arancione in tutta Italia che a differenza della zona rossa non chiudeva tutte le attività produttive, col risultato di una repentina e incontrollata diffusione della pandemia e migliaia e migliaia di bergamaschi che hanno perso irrimediabilmente la vita. Una strage che si poteva e doveva evitare. Se migliaia di persone, di lavoratrici e lavoratori si sono potuti salvare è perché di propria iniziativa si sono rifiutati di recarsi e immolarsi sui posti di lavoro.

Ecco perché i familiari delle vittime e le cittadine e i cittadini non hanno mai potuto accedere alle cerimonie di commemorazione dei loro morti. Ecco perché in questo anno elettorale a Bergamo non ci saranno cerimonie ufficiali a ricordo delle vittime di una strage. Tantissime morti e sofferenze che di colpo sono diventate scomode, da rimuovere insieme alla montagna delle responsabilità politiche ed economiche. Per lorsignori di deve andare avanti come prima, peggio di prima privatizzando la sanità, riducendo la prevenzione, mercificando la vita umana.

Ma il re è nudo, e noi non intendiamo né tacere né dimenticare. Più che mai vi è la necessità di costruire l’opposizione a un sistema liberista che disprezza la vita umana, che considera l’esistenza fisica una variabile dipendente dagli interessi del capitale.

*segreteria nazionale Prc-Se
**segretario provinciale Prc-Se Bergamo

Homeless-1. Persone senza tetto e diritto alla casa a Bergamo

È di questi giorni la notizia del ricovero in emergenza di un senzatetto all’ospedale di Bergamo a causa delle difficili condizioni climatiche; Il freddo uccide.
Passando la mattina in stazione ci si accorge immediatamente che il fenomeno delle persone prive di una casa a Bergamo è diventato una, inaccettabile, condizione di massa. In un mondo sempre più polarizzato in cui pochi detengono molto e tanti poco. Bergamo ha brillato in questi anni per l’introduzione selvaggia di politiche urbane liberiste che hanno favorito ulteriormente i ceti privilegiati e creato un grande numero di impoveriti e di miserabili.
La vulgata liberista della destra economica dominante dai tempi di Regan e sodali ha dimostrato tutta la sua portata puramente ideologica; la società si è arricchita, ma tra gli altri disastri (economici e ambientali) dentro la società i ricchi sono più ricchi e i poveri sono più poveri. Dopo dieci anni di queste ricette, adottate senza se e senza ma in particolare dalla giunta Gori, i risultati sono visibili: l’ingiustizia sociale domina in questa città più che altrove. Ormai, come ha certificato l’ISTAT, l’8 % dei residenti di Bergamo detiene beni e denaro come il 70% della parte più povera dei residenti.
Si dirà esagerazioni, ma i numeri sono chiari. A Bergamo, nel 2023 in cui ci si crogiolava e spendeva e spandeva per gli eventi scintillanti della capitale della cultura, sono morte per strada 9 persone senzatetto. Diventando dopo Roma (44 morti) e Milano (22) la terza città in Italia per numero di decessi di senzatetto. Solo che Roma e Milano hanno milioni di abitanti, Bergamo 120.000.
Il problema è che dentro questo nuovo assetto di città voluto da Gori aumentano i marginali, i cittadini che non hanno nemmeno una casa e molti sono a rischio avendo redditi al limite del ridicolo e subendo i devastanti effetti sul mercato degli affitti dei BeB.
E in presenza di questa situazione drammatica quante case popolari sono state realizzate in più negli ultimi 15 anni? Nessuna. Anzi la giunta Tentorio (di cui era assessore l’attuale candidato sindaco del centrodestra), cioè la destra politica della città, ha adirittura diminuito lo stok disponibile ponendo in vendita parte degli alloggi pubblici, privatizzandoli dicevano, creando tra l’altro quell’assurdo amministrativo che sono i condomini misti.
E ora entrambe le destre (quella politica e quella economica di Gori) discutono, come anche è avvenuto nel recente simposio voluto da Gori in cui erano relatori tutti eccetto che i sindacati degli inquilini, di quel vero imbroglio sociale che è il Social Housing per cedere a fondazioni bancarie e amici anche la gestione del residuo patrimonio edilizio pubblico. Per creare per chi ha denaro da investire altro profitto anche dai sassi.
E infatti se osserviamo l’attenzione reale al tema delle politiche attuate dagli enti preposti, comune e Aler, scopriamo che a Bergamo ci sono 500 alloggi Aler non assegnabili in quanto non riattati, e più di 200 del comune di Bergamo. Una città con case senza gente e gente senza case.
E qui mentre si sono spesi milioni di euro in spettacolini e iniziative per la capitale della cultura si arriva a sostenere che non ci sono le risorse per intervenire e si lasciano marcire centinaia di alloggi realizzati con i soldi dei lavoratori. Intanto le risorse per inviare armi ed esercito, anche in barba alla costituzione, a destra e a manca si trovano sempre. Ma che non ci sono risorse non è vero nemmeno sul piano amministrativo locale. I soldi per dare una casa ai senzatetto non ci sarebbero, ma poche decine di metri da dove dormono centinaia di senza casa si vara una recinzione del piazzale degli alpini, in nome del decoro e della sicurezza, che costerà ai cittadini 800.000 euro. Con quei soldi li quante case avrebbe riattato il comune di Bergamo? Diciamola tutta è una questione di priorità, che svela l’anima conservatrice e intrisa di arroganza di questa amministrazione che si proclama di sinistra ma che rappresenta solo gli interessi della destra economica.
L’ultimo esempio è il bilancio di previsione che Gori lascia in eredità al futuro sindaco. Il bilancio viene dichiarato in pareggio. In parte vendendo i gioielli di famiglia (e la famiglia non è quella di Gori, ma quelle dei bergamaschi), ma soprattutto inserendo a bilancio la vendita dell’ex monastero del Galgario. Ora al di la che vendere uno dei più importanti monumenti storici della città per fare cassa sembra un’ulteriore sciocchezza, ma dentro li è ospitato il più importante dormitorio pubblico in cui trovano rifugio la notte centinaia di persone.
Se uno ha portato Bergamo a essere terza nella graduatoria dei morti senzatetto, dovrebbe spiegare perché vende il più importante dormitorio pubblico. Oppure pensa che non si venderà mai, e all’ora si dica chiaramente che tra gli altri disastri combinati si è pure dissestato il bilancio comunale. Ma se si vende uno dovrebbe dire come intende poi risolvere la questione dei senza casa. O pensa va bene salire ulteriormente salire nella graduatoria dei morti di freddo senzatetto? Potrebbe in effetti non so, affermare che farà un nuovo dormitorio, ma soprattutto dovrebbe dire dove propone di realizzarlo, visto che nel discutendo PGT di questo non c’è traccia. E magari dicendolo a coloro che questo dormitorio se lo troveranno davanti a casa.
Insomma la realtà che uno crea poi gli presenta sempre il conto e chi ha fatto politiche antipopolari non venga qua poi a chiedere il voto al popolo. Il popolo come gli elefanti ci mette un po’ a capire (in effetti come pensa Gori spesso non ha gli strumenti), ma quando poi capisce (perché il popolo al contrario di come lo considera Gori non è scemo) e come gli elefanti non dimentica.

Francesco Macario (Prc-Bergamo)


Borgo di Terzo 25-01-2024

(12.6.23) Bergamo. Assemblea verso il BergamoPride: l’intersezionalità delle disuguaglianze e del conflitto

#Assemblea pubblica#

Lunedi 12 giugno, ore 18.30

bar dei giardini pubblici “Ermanno Olmi” piazzale Malpensata Bergamo

Il governo della destra reazionaria ha fin da subito mostrato la sua ferocia classista ed antipopolare. Fanno pagare alle classi popolari una assurda guerra che in maggioranza non vogliono, marginalizzano i poveri, tolgono tutele al lavoro, aggravano una crisi climatica che inizia a far sentire tutto il suo potenziale distruttivo. In tutto ciò, le destre non perdono occasione per attaccare i diritti delle donne e delle persone LGBTQ+, che lottano contro un sistema che vorrebbe reprimere la sessualità e l’identità di genere entro i confini biologisti della cosiddetta famiglia naturale.

A sinistra esiste la spiacevole tendenza a leggere quest’operazione sessista come un’arma di distrazione dai veri problemi economici, o come un’ossessione identitaria delle destre che non intaccherebbe il nucleo fondamentale del conflitto tra capitale e lavoro. Questo è un errore: la destra fa bene ad essere spaventata dal conflitto di genere, e dovrebbe esserlo anche la borghesia. L’oppressione delle donne e delle persone LGBTQ+ è un pilastro centrale dello sfruttamento capitalista, e la liberazione della sessualità dagli schemi eterocispatriarcali è un elemento essenziale per motivare e mobilitare la lotta di classe dei subalterni verso la rivoluzione sociale.

Con Diletta Bellotti, attivista e scrittrice, parleremo di come riuscire a superare le letture schematiche e binarie del conflitto sociale, e di come solo l’unità intersezionale delle lotte può consentirci di rilanciare una piattaforma politica progressista radicale.

no

Il governo della destra reazionaria ha fin da subito mostrato la sua ferocia classista ed antipopolare. Fanno pagare alle classi popolari una assurda guerra che in maggioranza non vogliono, marginalizzano i poveri, tolgono tutele al lavoro, aggravano una crisi climatica che inizia a far sentire tutto il suo potenziale distruttivo. In tutto ciò, le destre non perdono occasione per attaccare i diritti delle donne e delle persone LGBTQ+, che lottano contro un sistema che vorrebbe reprimere la sessualità e l’identità di genere entro i confini biologisti della cosiddetta famiglia naturale.

A sinistra esiste la spiacevole tendenza a leggere quest’operazione sessista come un’arma di distrazione dai veri problemi economici, o come un’ossessione identitaria delle destre che non intaccherebbe il nucleo fondamentale del conflitto tra capitale e lavoro. Questo è un errore: la destra fa bene ad essere spaventata dal conflitto di genere, e dovrebbe esserlo anche la borghesia. L’oppressione delle donne e delle persone LGBTQ+ è un pilastro centrale dello sfruttamento capitalista, e la liberazione della sessualità dagli schemi eterocispatriarcali è un elemento essenziale per motivare e mobilitare la lotta di classe dei subalterni verso la rivoluzione sociale.

Con Diletta Bellotti, attivista e scrittrice, parleremo di come riuscire a superare le letture schematiche e binarie del conflitto sociale, e di come solo l’unità intersezionale delle lotte può consentirci di rilanciare una piattaforma politica progressista radicale.

Ri fondazione Comunista Bergamo e provincia- FESTA TESSERAMENTO 21.5.2023

Per prenotare (entro venerdì 19 maggio):

c/o Vittorio Amanni, tel. 3477969101Lorenzo Zimei, tel. 3476853729Maurizio Mazzucchetti, tel. 3389759975

(18.05.23) Dalmine (bg). IL COMPAGNO GIOVANNI ALBERGONI CI HA LASCIATO

Apprendiamo la triste notizia della scomparsa del compagno Giovanni Albergoni.

Anni 72, operaio della “Dalmine”, prima nelle acciaierie poi nel laminatoio, per anni è stato delegato sindacale della Fiom/Cgil all’interno del Consiglio di Fabbrica. Impegnato da sempre in attività di volontariato nell’Auser e nell’associazione di accoglienza dei migranti “Il Porto” dove gestiva il magazzino di abiti, giocattoli e libri che distribuiva gratuitamente a persone bisognose.

Uomo convintamente di sinistra, antifascista, antirazzista e militante del movimento pacifista. Iscitto all’Anpi e negli ultimi anni, anche al circolo di Rifondazione Comunista di Dalmine. Giovanni era quella che si dice una bella persona. Anche negli ultimi momenti difficili non ha mai smesso le proprie attività di volontariato e ha sempre fatto sentire la propria vicinanza alle lotte sociali e politiche.

Sorridente e disponibile con tutti, Giovanni esprimeva le proprie opinioni con franchezza e ironia ma anche con profondo rispetto delle persone.
Ciao compagno Giovanni, che la terra ti sia lieve.
Un forte abbraccio alla moglie e ai familiari tutti.

La camera ardente è allestita presso l’abitazione in Via Pinosa n. 7 a Dalmine.
I funerali in forna civile si terranno sabato 20 maggio alle ore 14,00 presso la propria casa.

Renè Daminelli e Marco Sironi per i compagni e le compagne del circolo di Dalmine e della federazione provinciale di Rifondazione Comunista

LA MALA ECCELLENZA LOMBARDA

La sanità italiana era tra le migliori ma adesso è in crisi per colpa della politica che ha inserito il profitto. Gli ospedali sono diventati delle aziende. Oggi il medico viene rimborsato a prestazione, che è una follia razionale, scientifica ed etica. Si mette il medico in condizioni di dover fare o di ambire a fare più prestazioni perché così si guadagna e quindi si inventano nuove malattie e cure, oppure si fanno interventi chirurgici inutili”. (GINO STRADA)

La Lombardia è la regione che più di tutte ha privatizzato la sanità

L’indebolimento degli investimenti nel pubblico sta portando a disservizi e a disagi crescenti: mancano medici, in sofferenza i servizi di prevenzione, code e ritardi spaventosi per i malati, persone che rinunciano alle cure perché non ne hanno i mezzi.

I tre principali schieramenti che si sono contesi la guida della Lombardia nelle elezioni regionali non intendono discostarsi da questo quadro particolarmente desolante, che in Lombardia è l’esito di un processo che perdura da decenni e che l’ultima legge regionale (2021) ha perfino peggiorato.

Il centro-destra intende gestire la sanità Lombarda secondo i medesimi indirizzi che hanno portato alla tremenda catastrofe del Covid, di cui si è autoassolto

Moratti, con la sua lista sostenuta dal centro confindustriale di Calenda e Renzi, ha inaugurato nuove strutture realizzate con i fondi del Pnrr senza prevedere assunzioni pubbliche di medici e infermieri: privatizzare è la sua mission (Confindustria privatizzerebbe anche l’aria, se fosse possibile)

Il centrosinistra, silente nella crisi Covid e impegnato con la destra ad impedire la Commissione Parlamentare d’ inchiesta, ha scelto di garantire gli interessi della sanità privata candidando una figura di primo piano di un grande gruppo della sanità privata milanese.

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LA PRIMA FASE DELL’INCHIESTA COVID IN BERGAMASCA

La magistratura ha concluso la sua inchiesta sulla prima fase della pandemia Covid a Bergamo. I magistrati hanno evidenziato, come noi di Rifondazione e i famigliari delle vittime da tempo denunciamo, la mancata adozione e il mancato aggiornamento dei protocolli già utilizzati nel 2002 e nel 2012 per contrastare prima la Sars e poi la Mers; la mancata applicazione delle fasi 1-2-3 del piano pandemico del 2006 e la scelta di non applicare, nonostante le raccomandazioni dell’Oms, il piano pandemico nazionale antinfluenzale per farne uno nuovo sulla base delle esigenze emergenziali.

Accuse pesanti. Questi interventi forse non avrebbero arginato del tutto il contagio, ma prevedevano misure di contenimento che avrebbero potuto frenarlo: mascherine, percorsi sicuri, tamponi. Così non è stato. È stata invece appurata la contraddittorietà e l’inefficacia delle disposizioni amministrative che sono state contraddittorie ed inefficienti, basta pensare a ciò che è avvenuto nell’ospedale di Alzano Lombardo o nella RSA. Decisioni politiche e amministrative che hanno fatto perdere tempo e ridotto l’incisività nel contrasto alla pandemia. La Pandemia era una novità, ma l’intera classe dirigente del paese si è dimostrata complessivamente inadeguata a gestire la situazione, anche se ora si nasconde dietro all’eccezionalità dell’evento per assolversi. Tra le disposizioni amministrative citate nell’inchiesta tra le principali criticità riscontrate viene segnalata “l’assenza di un provvedimento volto a vietare i voli indiretti dalla Cina”.

Ora è noto che la Val Seriana è uno dei distretti storici del tessile in Italia con forti rapporti con la Cina. Centinaia di tecnici, ingegneri e manager si muovono continuamente, tra Bergamo e la Cina. Questi viaggiatori hanno avuto, probabilmente, un ruolo fondamentale nel portare in Val Seriana, in Italia e in Europa il contagio. Da gennaio i viaggi diretti tra la Cina e Bergamo erano vietati, ma come noi di Rifondazione abbiamo da subito denunciato, il divieto è stato superato dalle imprese orobiche con il sotterfugio dello scalo indiretto. L’obiettivo era la prosecuzione delle proprie attività eludendo i divieti sanitari. Quindi il virus è arrivato “improvvisamente” per le scelte di chi temeva un calo dei propri affari. Ora perché l’inchiesta non individua chi volava tra la Cina e Bergamo? I biglietti saranno stati pagati (e fatturati) da qualcuno e quindi non pare impossibile accertare i responsabili. Non vanno costoro perseguiti per la strage provocata? Inoltre, come da noi di Rifondazione da subito denunciato, dai documenti dell’inchiesta appare chiaro che si sarebbe potuto attivare misure di contenimento almeno a partire dalla metà del febbraio 2020. Ma invece in quel momento Confindustria dichiarava che a Bergamo non c’era nessun problema e che li si continuava a correre, produrre e fare ovviamente profitti.

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Dalla sentenza contro i salari incostituzionali, una spinta per la lotta contro il lavoro povero e per il SALARIO MINIMO

Il salario di milioni di lavoratori italiani è da fame e per questo contrario al dettato della Costituzione che all’art. 36 prescrive che “il lavoratore ha diritto a una retribuzione proporzionata alla quantità e alla qualità del suo lavoro e in ogni caso sufficiente ad assicurare a sé e alla famiglia un’esistenza libera e dignitosa”.

Lo sapevamo noi e lo sapevano anche i sindacati, gialli ma non solo, che firmano contratti con paghe offensive della dignità delle persone.

Ora lo ha stabilito anche un giudice del lavoro di Milano accogliendo il ricorso di una lavoratrice veneta sostenuta da Adl Cobas e difesa dagli avvocati Giorgia D’Andrea e Giacomo Gianolla.

La sentenza, che  possiamo definire storica, ha condannato l’azienda, una società della vigilanza privata, che applicando un contratto di settore regolarmente sottoscritto pagava uno stipendio mensile di 930 euro mensili lordi, circa 640 netti corrispondenti,  a una paga oraria netta di 3,96 euro.

Tra le motivazioni oltre  all’incostituzionalità l’essere la paga più bassa del reddito di cittadinanza e della cassa integrazione.

Con la sentenza in favore della lavoratrice, il giudice Tullio Perillo, ha condannato l’azienda a pagare un risarcimento di 372 euro lordi in più per ogni mese (oltre 6.700 in totale), ovvero il differenziale tra la paga versata e quella prevista per un servizio di portierato.

La sentenza costituisce  un precedente importantissimo  e apre la strada a tanti ricorsi quanti sono le lavoratrici e i lavoratori costretti a lavorare 8, 10 e perfino 12 ore per salari così bassi da rappresentare uno sfregio per la dignità della persona.

Rappresenta un monito verso tutti quei sindacati gialli che firmano contratti che prevedono paghe di 3, 4, 5 euro all’ora e ancor più per gli altri sindacati che hanno firmato come quello in questione nella causa menzionata.


E’ una spinta per una sinistra degna di questo nome all’impegno per il   rilancio delle lotte sul salario e  per una legge sul salario minimo che finalmente mettano fine al dramma del lavoro povero che in Italia riguarda  un terzo  delle lavoratrici e dei lavoratori italiani.

Bergamo, 11.04.2023

Francesco Macario, segretario Prc/Se Bergamo e provincia

Vittorio Armanni, segreteria Prc/Se Bergamo e provincia